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sabato, ottobre 31, 2009

Endecasillabo sciolto, una bottiglia da 75 cl.




Febbraio 2008

venerdì, ottobre 30, 2009

Il mio avatar ovvero perchè Don't panic




Don't panic l'ho preso dalla guida galattica per gli autostoppisti e lo uso come avatar per due motivi.
1) Perchè mi piace l'idea che don't panic stampato sulla copertina della guida tranquillizza l'acquirente di questo libro.
2) Perchè nell'edizione italiana che ho letto l'hanno tradotto con "Non fatevi prendere dal panico".
Tradurlo "Niente panico" no, EH!



Albero nella notte


Febbraio 2000

quadro della situazione


Gennaio 1991

giovedì, ottobre 29, 2009

Amazzone



L'avevo chiamato "il risveglio" ma ora "amazzone" mi piace di più.
Gennaio 1991.

mercoledì, ottobre 28, 2009

lunedì, ottobre 26, 2009

Elenco non esaustivo di cose non particolarmente furbe, successe anche per caso, che non mi hanno lasciato segni.

  • Piantare la tenda e immediatamente dopo smontarla su un green di un campo da golf in Costa Azzurra. Era notte e ci siamo trovati,non so come, non so da dove, sul prato perfetto. Parcheggiata l'automobile e montata la tenda al suo fianco. Quando con la torcia illuminai una bandierina rossa rimasi molto deluso.
  • Fare l'incidente più idiota in Gran Bretagna. Era la seconda volta, e per ora ultima, che ci andavamo. Eravamo già in Galles. Era un furgoncino rosso delle poste, con le scritte in gaelico. Appena uscito dall'auto gli ho urlato una cosa del tipo:"Ma da che parte guidi, coglione"!?
  • Piantare la tenda a Mont Saint Michel. Non ci siamo bagnati ma la marea tende a tenerti sveglio.
  • Essere ubriaco tradito su una spiaggia di sassi (che a me la spiaggia di sabbia fa schifo) con la luna piena che si riflette nel mare abbracciato alla compagna di classe che mi piace tanto (ero ubriaco) e sentire le più dolci parole d'amore che le mie orecchie hanno mai sentito:"Sta attento a non vomitarmi addosso". Questa qualche segno me l'ha lasciato però.
  • Voler dormire su un prato a San Miniato a Firenze senza sacco a pelo, tanto siamo in estate, e trovarsi a rovistare, alle due di notte, nei cestini dei rifiuti alla ricerca di giornali per coprirsi.
  • "Ma cosa vuoi far potare quella pianta? Costa un sacco di soldi e, a meno che non arrivi una tromba d'aria, va avanti ancora per 10 anni". La tromba d'aria arrivò l'anno seguente e quella pianta cadde sul tetto. Il tetto di casa mia. Anche la pianta era mia.

Bon, per stasera basta così. Tanto non c'è assoluzione.

I piani della scolastica


Io ho smesso di andare a scuola dopo la terza media.
No, no. Non ho mentito nei miei precedenti scritti in questo blog.
Ho veramente frequentato il liceo scientifico e l'ho portato a termine. Ma l'ultimo edificio scolastico in cui ho messo piede da scolaro è stato quello delle medie del mio paese. Bello, a ripensarci ora. Le aule che erano aule, la palestra, anche un bel giardino attorno con una pista d'atletica, solo i 100 m dritti, non l'anello di 400 m, la pedana per il salto in lungo e un campo di pallavolo.
Dopo quell'edificio costruito come scuola per fare la scuola non mi è più capitato di seguire una lezione in un posto che fosse scuola, nel senso edile del termine.
I primi due anni del liceo li ho passati in un palazzo a Cassina de' Pecchi il cui primo piano era stato riadattato, dai due o tre appartamenti ad uso civile che era, a contenere, nei locali più grandi degli spazi che qui, per brevità di scrittura, chiamerò aule, quattro o cinque, e in quelli più piccoli la sala professori e sgabuzzini per un uso che mi rimane sconosciuto.
I bagni erano belli, non avevano lesinato sulle maioliche e c'erano vasca, bidé e doccia oltre alla tazza e al lavandino. Non c'era la palestra, dovevamo trasferirci in un'altra scuola, quella scuola per davvero, nelle ore di ginnastica, ma dei bagni così belli me li sogno ancora.
L'aula in cui ho frequentato il primo anno aveva un simpaticissimo pilastro che, non mi ricordo se per abilità o per caso, fu il mio sostegno. Avere un pilastro al proprio fianco, oltre che ad aumentare la fiducia in sè, aiutava nelle manovre di copiatura durante i compiti in classe. E'stata una guerra di posizione la mia, trincerato dietro quel pilastro sono riuscito ad evitare le bordate dei dettati di francese che, a colpi di accenti gravi, acuti e circonflessi mietevano vittime nelle file degli alunni più esposti al fuoco nemico. Ripagavo con la matematica che , almeno per i primi tre anni non mi ha dato problemi, escludendo i compiti del primo quadrimestre in cui regolarmente confondevo il meno con l'uguale. Quadrati e doppi, tripli prodotti anche a gesti sempre nascosto da quel pilastro.
Negli anni successivi, a Melzo, ho frequentato in una palazzina d'uffici. La palestra era nel seminterrato. I più alti, se non frenavano l'esuberanza giovanile, rischiavano una commozione cerebrale.
Ultimo anno all'oratorio di Melzo. Gli oratori sono costruiti come scuole, la chiesa lo sapeva bene che lo stato non avrebbe costruito tutte le scuole necessarie e si era portata avanti. Non c'era l'otto per mille ma c'erano gli affitti. La mia classe era in soffitta, non so se questo abbia contribuito a far pagare un affitto ridotto.
Bello. Posto piccolo, quasi raccolto e, nelle giornate limpide, si poteva godere di un bel panorama.
Sui laboratori stendo un velo pietoso.

Se mi fossi fermato alla terza media sarebbe stato meglio, ma questa è un'altra storia che con l'edilizia non c'entra niente.

Nella foto la stazione di Cassina de'Pecchi tanto per dare un certo tono a quella cosa scritta sopra.

sabato, ottobre 24, 2009

Ex cathedra senza null'altro intorno


Ci incrociammo all'entrata del dipartimento di elettronica neanche 24 ore dopo che avevamo parlato nel suo ufficio del progetto per l'esame di programmazione dei calcolatori elettronici.
Per quella cosa, che mi insegnarono fin da piccolo, chiamata educazione la salutai:
"Buongiorno". Dissi, forse abbozzando un sorriso di circostanza.
Non deviò di nemmeno un grado il suo sguardo e continuò a guardare dritto davanti a sè ma mi rispose:
"Il mio giorno di ricevimento è giovedì".
Era un venerdì dunque.
Mi bloccai sulla soglia e, girando il capo, la seguii con lo sguardo mentre si allontanava. Non si girò.
Qualcuno mi fece notare che stavo bloccando il passaggio, ripresi a camminare senza nemmeno scusarmi.
Ma, si sa, da giovani è più facile essere cafoni.

Natalie Cardone - Hasta siempre

Sono le tre...sarà meglio andare sotto le coperte.
Prima un ultimo video.
Al di là di tutto, il quarto stato di sole donne, verso la fine del filmato, mi è piaciuto dal primo istante che l'ho visto.

Came Ye o'er frae France



http://www.telusplanet.net/public/prescotj/data/music/camyeoer.html

venerdì, ottobre 23, 2009

giovedì, ottobre 22, 2009

Fiori gialli in un vaso

mercoledì, ottobre 21, 2009

Rauchen verboten


























Eccapisco che è pubblicità!

Ma quello che l'ha fatta 'sta pubblicità mi sa che s'è fumato qualcos'altro.

40 buoni motivi per essere e sentirsi italiani...e sì!
Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno, mica solo in Italia.

Mi sono ricordato del volo da Londrino a Milano, attraversando le alpi, di Giovanni Bassanesi nel '30.
Tra i volantini che lanciò su Milano c'erano quelli con l'invito a non fumare (ricordo milanese quarantottesco, cito da Salvatorelli, Mira - Storia d'Italia nel periodo fascista).




40 buoni motivi...
Tanti santi a cui votarsi...la pasta al dente...il falò di ferragosto... Il falò di ferragosto?
Dalle mie parti il falò lo si fa a sant'Antonio, il 17 gennaio...Antichi riti pagani...Come la festa del sole del resto.

Per la prima volta ho pensato, solo pensato, di smettere di fumare.

La donna, il due e sempre solo picche.


Non doveva essere molto in forma quella sera.
E' anche vero che dopo l'una di notte e tre bottiglioni di rosso qualcuno cominciava, ogni giovedì, a dare segni di cedimento. Era il primo indizio che la partita settimanale del due, la briscola chiamata che si gioca in cinque, stava per terminare. Noi di solito eravamo più di cinque, si stava fuori a turno.
Comunque sia, mentre stava per giocare la sua carta, dopo aver pensato per più di un minuto, il biondo disse, con una voce monocorde e scandendo bene le parole:
"E' meglio una bella cagata di una brutta scopata".
Buttò sul tavolo, lanciandola con uno stanco movimento del polso , la donna di picche.
Non facemmo molto caso alle sue parole. Dopo che si era aperto il quarto bottiglione non era insolito, per noi, raggiungere così alte vette filosofiche. Ci avevamo fatto il callo e non ci furono né applausi né commenti.
La mano continuò il suo percorso, lentamente. Quando si avvicinavano le due di notte le mani rallentavano sempre. Dovevano adeguare la loro velocità a quella del nostro pensiero.
Arrivò il turno di quello che in quel giro si era ritrovato ad essere il socio del biondo.
Il socio alzò gli occhi dalle sue ormai poche carte, la mano stava volgendo alla sua fine, guardò il biondo e con violenza gettò sulla tavola il due di picche urlando:
"Ma va a cagà"!

Vacanze, presenze e solite assenze.


Ero seduto placido e rilassato vicino al bordo della piscina in un campeggio nell'isola di Corfù.
Un libro in una mano e una bottiglietta di latte al cacao ancora fresca nell'altra.
Io sono un maniaco del cioccolato.
Me ne stavo in pace a leggere e a sorseggiare quel nettare che, specialmente in una giornata calda come quella, riesce a spegnere ogni mio altro desiderio quando sentii alla mia sinistra la voce di un amico che stava seduto accanto a me:
"Ostia"!
L'esclamazione non turbò il magico momento che stavo vivendo. Uno di quei momenti in cui sono splendidamente solo anche se vicino a me ci sono decine di persone.
Ma a quel mio compagno di viaggio tutto questo non importava, non poteva conoscere il mio stato d'animo. Un libro e una bottiglietta di latte al cioccolato. Stavo brindando con gli Dei.
Non notando reazioni alla sua esclamazione continuò:
"Cazzo, Marco, ma tu cosa ne pensi"!?
Alzai lo sguardo dal libro, lui stava guardando nella direzione della mia bottiglietta, bevvi un sorso e guardandolo dritto negli occhi pensai a cosa rispondere. Buono era troppo poco. Esagerare con le parole non avrebbe comunque reso, se non in minima parte, il piacere che stavo provando in quel momento e che lui stava cercando di rovinare con la sua insistenza.
Tirai, sempre guardandolo, un rutto di soddisfazione. Non sarà troppo fine ma era la cosa che meglio comunicava come mi sentivo.
Mentre riabbasso lo sguardo per riperdemi in me stesso sento i miei amici, ne era sopraggiunto un altro, che ridono rumorosamente.
Lì guardo sorpreso e un po' deluso dal fatto che la risata aveva interrotto quel mio stato di grazia.
"Oh Marco, ti chiedo che ne pensi di quella figa galattica e tu rutti"!?
Mi giro verso destra ed effettivamente, ad un paio di metri, c'è una bionda in due pezzi con tutte le cose al posto giusto, il davanti, davanti, il dietro, dietro, sdraiata a prendere il sole.
"Ma sono qua a leggere e a bere, che cazzo di domande mi fai"?!
Continuano a ridere:
"E già, ti si siede di fianco un pezzo di figa e tu leggi...Sveglia"!
Sorrido anch'io, un sorriso stirato:
"Ma andate a cagare, stavo così bene".

1971, Stanford prison experiment




Dell'esperimento della prigione ne sentii parlare alla televisione, forse era quark, una delle prime edizioni credo, e mi rimase vividamente impresso nella memoria.
Ho letto un po' di cose in questi anni.
L'esperimento è controverso. Un fallimento di grandissimo successo. A me dà l'impressione che abbiano cercato di misurare l'intensità di un terremoto con un diapason.
Ho anche letto il libro che recentemente Zimbardo ha scritto, L'effetto Lucifero.
Troppe cose tutte assieme, secondo me, ma sicuramente interessante.

martedì, ottobre 20, 2009

If in a stormy night a ghost...


Se il tuo più vecchio amico ti dice che sei strano.


Se tuo padre ti chiama il fantasma.


Se tua sorella, quando gli dici che non vuoi andare in un posto, per convincerti ti dice che ha già avvertito chi dovremmo incontrare spiegandogli che suo fratello è un po' particolare.


Se di tutto quello che ho scritto non capisco il perchè, tranne il fantasma.


Allora qualcosa di vero ci deve essere.


Ma la cosa più importante è che io sarò un fantasma un po' particolare ma so che gli strani siete voi.

Cerchio di grafite in cielo


30 settembre 1980, mattina, Liceo scientifico statale, Melzo.



Butto via il mio tempo

per cose assurde,
irrazionali.
Storie di mitici eroi
sepolti nelle ragnatele
di oziosi cervelli.
Professori preregistrati
mascherati
da esseri pensanti.
In mezzo a questi automi
voglio trovare
la mia vera dimensione.


Aggiornamento stato della ricerca.
Trovato nulla e mi sto anche rompendo le balle.
Che cosa volevo dire con dimensione?
Non sono mai stato un tipo da cioè cazzo, cazzo cioè.
Mah!?

lunedì, ottobre 19, 2009

Post fatto con i piedi.


Sappiamo chi sei.
Sappiamo dove vai.
Conosciamo il colore delle calze che indossi.

Agosto 1979, Borgo Sabotino, Latina

Uno: "Aoh, me vorrei fa la porsche, quella da 200 cavalli, sali e sei già a 200 all'ora"!
L'altro: "Ma com'è che certi camion c'hanno anche più cavalli e vanno de meno"?
Uno: " Evvabbè, che c'entra, quelli der camion so' cavalli potenza quelli della porsche so' cavalli velocità. Ma quanto sii ' gnorante"!

Io alzo lo sguardo dal giornale che sto leggendo, li guardo e penso: "Effettivamente un cavallo da tiro è diverso da un cavallo da corsa".
Mi rimetto a leggere.

domenica, ottobre 18, 2009

Fiori d'arancio

La fidanzata dell'amico che fa una professione money money money e con una certa propensione a "guardarsi in giro": "Ma non è vero che ci si mette insieme per i soldi! Una mia amica ha un fidanzato che fa l'operaio, si amano e stanno bene insieme...Certo, io che ormai sono abituata ad un certo tenore di vita non lo farei, stare magari a lesinare sulle cene... Ormai ho abitudini diverse."
Marco: "Ah, ecco...".
La fidanzata dell'amico con sguardo viperesco e voce incazzata sibilante: "Ah ecco cosa"?
Marco: "Ah ecco e basta".

Pochi anni dopo. Due o tre.

Un altro amico:"Oh Marco, hai sentito? Il nostro amico che fa una professione money money money e la sua fidanzata che poi ha sposato si sono separati".
Marco: "Durato tanto però! Non me lo sarei mai aspettato così lungo".

venerdì, ottobre 16, 2009

Degrado



Trafiletto di un articolo apparso su un giornale di un paese del milanese la settimana scorsa.

Giornale nato nei primi anni settanta all'oratorio ora edito da una cooperativa sempre di area cattolica.


Del paese non frega niente e il fatto che i giovani facciano casino sono le solite seghe mentali dei benpensanti, arriva l'inverno e tutto si azzittisce, i borghesucci preparano il Natale e i giovani vanno a farsi le canne al caldo se proprio vogliono farsele. Ogni anno è così. Ho tolto il nome del tizio perchè non ritengo che sia un problema di persona. Cazzi di chi ha permesso che questa gente stia a governare quella cittadina.



Quello che m'interessa sottolineare non è tanto l'articolo, le ultime 8 righe in particolare, ma la risposta, dopo una settimana, che ha provocato su quel giornale in cui le polemiche tra "forze politiche" per problemi vitali come le buche sulle strade vanno avanti per settimane.

Mi aspettavo tuoni da tutte le forze politiche non di destra, saette dai cittadini che non si riconoscono in quelle parole di un leghista che forse pensa che il ventennio sia la festa dei vent'anni: "Che bello. che bello, facciamo la festa che ci porta voti"!

La notte verde!

Sui giornali di partito ma anche delle bocciofile, per provocare, si può leggere di peggio. Questo giornale, invece, non ha come referente un partito. Non è il giornale della lega o del msi o come cazzo si chiama adesso. I suoi lettori sono di aree eterogenee anche perchè è l'unico giornale di quel paese e si è guadagnato il posto che occupa. Ci scrivono tutti e tutti lo leggono. In quel paese l'oratorio è, dal dopoguerra, l'unica potenza.

Polemiche sempre e per tutto.


Questa volta no.

Una sola lettera del circolo delle acli che, a proposito delle parole del tizio, spiega che l'uso della violenza, attraverso lo strumento manganello, è insufficiente e riduttivo.


Del villaggio m'importa sega!


Quello che mi fa paura è che Hitler non è diventato Hitler perchè si chiamava Hitler e faceva bei discorsi in birreria.
Hitler era la radio.
Hitler parlava dalla radio, lo ascoltavano sia in città che in campagna, ed a un certo momento nessuno ebbe più la forza per poter replicare.


Qua cominciano a star zitti anche sui giornaletti di paese.
Lì sta la base.

Non è repubblica, non è il giornale, non è la padania.
E' un giornale dove la polemica partiva anche dai cittadini per, ma sì, chiamiamole così, le loro minchiate.
Le lettere sulle staminali, tante, sul referendum aborto, tante.
Mi aspettavo almeno una pagina di lettere, tra pro e contro.


Invece un tizio si permette di invocare il manganello e va bene così.

Normale amministrazione, ecchevuoi che sia!

Sottile retorica volta a smuovere la coscienza del cittadino dello stivale? Stinkstiefel!
Insufficiente e riduttivo...Sticazzi!


Siamo quasi pronti.
Cominciamo a scavare che a riempirle ci si mette un attimo.
Il cadavere siamo noi.

Sono disgustato ,affranto, incazzato...


Però un trafiletto sulle primarie il tempo per farlo l'hanno trovato.

Forze politiche...Forze!?

giovedì, ottobre 15, 2009

Quando gli elettrolitici fanno spampf

Prova tastiera.

12345678901234567890abcdefghilmnopqrstuvzWYX!£$%&/()=?^@#][§ùàòèé*éç°_:;
Sembra a posto.
Invece il mouse ha movimenti random, ma tutto sommato (adopero troppi tutto sommato) funziona.
Il bello degli degli elettrolitici è che si beccano al volo quando scoppiano.
Si sarà perforato per vecchiaia o perchè c'è qualche guasto a monte?
Diamolo per vecchio.
Comunque finchè riesco a scrivere di tirar giù la motherboard non se ne parla.
Sembra che funzioni tutto.

Tanto che sono qui e un po' per tirar tardi, qualsiasi cosa pur di non guardare la tele.

Alto non sono, ma la mia statura è del tutto socialmente accettabile. Se fossi nato nel '700 sarei stato persino alto.

In prima elementare, verso la fine dell'anno scolastico, quello più grosso della classe, aveva un anno in più perchè aveva fatto la prima in Germania ma non gliel'avevano riconosciuta e ha dovuto ripeterla, mentre ci stavamo preparando per uscire da scuola cominciò a darmi fastidio.
Gli sono saltato alla gola. Ma nel salto sbattei il naso contro la sua testa e cominciai a sanguinare.
La maestra lo teneva sempre d'occhio e quando ci vide vicini con io che perdevo sangue urlò:
"Nomedelcompagnodiclassedimarco che cosa hai fatto"!
Io lo stavo guardando in quel momento. La sua espressione di sorpresa, nessuno lo aveva mai toccato quando voleva fare il duro con quelli più piccoli, mutò in terrore, avevano già chiamato i suoi genitori diverse volte.
Mi rivolsi alla maestra e dissi la verità:
"Non l'avevo visto e gli ho sbattuto contro, lui non ha fatto niente".
Pura verità, come mi avevano insegnato, ero accecato dalla rabbia.
Io non dissi nient'altro.
Lui non disse niente.
Per capirsi, certe volte, le parole non servono.
Fummo compagni di banco fino alla fine delle medie.

Tutto sommato ( scrivo troppi tutto sommato ) ho la statura di un primo ministro, più o meno, credo.
Quando potevo facevo sempre copiare quelli che me lo chiedevano e non mi sono mai nemmeno sognato che si potesse chiedere qualcosa in cambio.
Si vede che non sono tagliato per gli affari né per la politica.

A pensarci bene, però, ( abbondo anche di però ) il capetto è un bugiardo patologico. Se dice che la sua statura ammonta (sto scrivendo come un ragioniere ) a cm. 171 vuol dire che la sua statura (Oh, ma quante ripetizioni) reale è o cm. 161 o cm. 181
Nel primo caso sono più alto nel secondo più basso.
Sapendo che il naso si allunga di 3 mm. ogni 10 anni il candidato calcoli quanto tempo manca alla rivelazione della vera identità del capetto. Si trascurino gli effetti di bordo e si assuma una temperatura di 300 K.

Il cursore del mouse va un po' dove vuole...dovrò fare una mausefalle anche se non so sciare e comunque cominciare da Kitzbuhel non mi sembra cosa furba.

Fine prova tastiera
Il prof di musica delle medie, per spingere i suoi alunni ad ascoltare la musica, classica in particolare, spiegava che le mucche che ascoltano Mozart fanno più latte.

Impara l'arte e mettila da parte.

Matricola 1788


Per me i numeri sono importanti.
Alcuni me li ricorderò sempre.
1788 rosso in campo bianco, sulle maglie di biancheria intima, sulle mutande, sugli asciugamani.
Servivano alla lavanderia per poter riconsegnare a ciascuno le proprie cose.
Qualche asciugamano con quella targhetta, cucita da mia mamma, lo conservo ancora.
Non avevo ancora 6 anni e avevo voluto andare in colonia.
Che l'avessi voluto io, a quella età, qualche dubbio me lo ha sempre lasciato. Così, però, mi hanno detto e non cambiarono mai versione. E' anche credibile che sia andata così. All'asilo non riuscirono a mandarmi. Tentarono di farlo nonostante le mie urla e l'attaccarmi alle cancellate che si affacciavano sulla strada ma dopo tre giorni, non consecutivi, in cui mi trascinarono in quel posto da cui tornavo con la febbre lasciarono perdere. Fu determinante anche il consiglio del medico che ai miei genitori, preoccupati del fatto che tutti i bambini della mia età andavano all'asilo mentre io mi opponevo con tutte le mie forze e mi ammalavo pure, disse: "Non tutti sono uguali, c'è chi vuole andare e chi no. Tenetelo a casa".
A casa c'erano i miei nonni e la cosa fu fattibile.
Non sono mai stato un bambino viziato e piagnone, impossibile a casa mia, né mai pestai i piedi per ottenere qualche giocattolo o per fare o non fare qualche cosa, un po' per carattere e un po' per l'educazione che stavo ricevendo. Se mi fossi comportato in quel modo avrei sortito l'effetto contrario a quello desiderato. Ma, non saprei spiegare il perché, all'asilo non ci volevo andare al punto di comportarmi in quella maniera per me insolita.
Stranamente non ebbi nessuna difficoltà, pochi anni dopo, nell'inserimento scolastico.
Ammettiamo, dunque, che quel bambino volesse andare in colonia o che, almeno, non avesse validi motivi per non voler andare.
Era una colonia in montagna sopra il lago Maggiore. Fu la sola occasione in cui indossai un'uniforme. Pantaloncini a mezza gamba blu, maglietta a maniche lunghe rossa e cappellino da marinaretto.
Boh!
Sarà stato perché vicino c'era il lago o un tentativo di dar vita ad un reggimento di marineria alpina.
Ero il più piccolo della camerata, il più piccolo in ogni senso. Per di più erano, per la maggior parte se non tutti, cittadini, mentre io, seppur da un paese vicino a Milano, venivo dalla campagna.
La mattina, non so a che ora, ci buttavano giù dal letto, altoparlanti a tutto volume, con la banda la va cantata da Rita Pavone. Se dovessi risentirla quella canzone avrei ancora brividi di paura.
Quando, durante una passeggiata fatta in uno dei primi giorni, mi dissero di mangiare i golia, la nota caramella nera, che stavano per terra ché erano così buoni pensai di aver a che fare con degli stupidi che mi prendevano per stupido e deficiente, per quanto mi possa ricordare dopo così tanti anni. La merda di capra la conoscevo bene. In campagna si sarà molto indietro in tante cose ma la merda la si conosce presto. La pulina di cavallo, gli stronzi di gallina, la buascia delle mucche, i pulinel delle pecore. Mica tutta la merda è uguale, ha anche nomi diversi.
Il sentire questa proposta fatta da bambini più grandi di me mi mise in stato di allarme e cominciai a tenerli a distanza.
Una notte, qualche giorno dopo, uno di loro ebbe la brillante idea di chiedermi se mi avevano già detto che i miei genitori erano morti.
Pianti disperati.
Nonostante l'intervento dei sorveglianti che tentarono di calmarmi e di rassicurarmi continuai a piangere.
Capii che da lì dovevo andarmene.
Non so come, ma mi venne anche la pertosse.
Non mi limitai a piangere. Supplicai.
E' come una fotografia vista attraverso le lacrime, io, nella stanza del direttore con i miei genitori e quest'uomo con la barba nera che mi chiede se voglio veramente andar via:
"Sì".
Sì, perdio, sì, sì, sì!
Mai più divise, mai più uniformi.
Ancora oggi provo odio e vergogna.

martedì, ottobre 13, 2009

Chi l'è minga bon per il re l'è minga bon per la regina




Chi non è buono per il re, non è buono neanche per la regina.

Titolo copiaincollato e ho tolto le maiuscole da re e regina perchè nomi comuni di funzione sociale. A meno che si scrivano con le maiuscole anche idraulico , elettricista, ingegnere...io le maiuscoale a re e regine non le metto.

Questa massima me la diceva mia nonna come se recitasse una filastrocca, non ci credeva, l'aveva sentita da giovane e me la ripeteva terminando, però, con un l'è minga vera.
Sta di fatto che io non avevo proprio nessuna intenzione di buttare via un anno di vita per far giocare qualche demente con le stellette, a svegliarmi la mattina presto per stendere un panno e sopportare dei coetanei o quasi che mi dessero ordini solo perchè erano nati qualche mese prima di me.
Avevo anche considerato di mentire per non fare la leva e optare per il servizio civile ma, oltre a non avere il rifiuto delle armi, mi dissero che sarei stato chiamato dal maresciallo della stazione dei carabinieri che avrebbe cercato di mettermi in difficoltà con argute domande del tipo - ti piace la caccia? ma se arrivano gli stranieri e violentano tua madre...? - Non perchè io sia io, era normale prassi. - Anticipo un po' i tempi. Chi fece il servizio civile mi raccontò poi che, sì, in caserma bisognava andare e la domanda delle 100 pistole te la faceva, magari meno arguta, ma la faceva senza sollevare la testa dal modulo che stava compilando e quasi senza ascoltare. Un dipendente statale che doveva mettere un timbro, insomma. -
Soppesando la perdita che avrei avuto dal fare un anno di leva senza visita al maresciallo dei carabinieri e la perdita del fare un anno di servizio civile con visita scelsi di tentare altre vie, dall'esito insicuro, e cercare di farmi riformare.
Niente soldi. Pagare, corrompere proprio no! A priori.
L'unico appiglio erano i piedi piatti.
Il giorno, uno dei tre della tre giorni, - sto scrivendo in un modo barbaro ma sto parlando di militari, capitemi per favore - della visita davanti al medico, quello che ti palpa lo scroto per sentire se ne hai veramente due e non ne nascondi altri, nello stanzino in cui ci fecero spogliare cercai gli angoli più sporchi, molto facili da trovare, per colorarmi la pianta del piede ed esaltare quella mia piallata caratteristica. Feci anche un paio di prove del défilé che avrei fatto davanti al medico dell'esercito.
Quando fui chiamato - modelle, top model, modelli e modellini invidiatemi! - feci la migliore e unica sfilata della mia vita. Un passo pinnato, a piedi divaricati di 60° - ché di più sarebbe stata una cattiva parodia di Charlot - con l'accompagnamento sonoro delle mie piante che sbattevano sul pavimento.
Confronto agli altri colleghi tregiornisti mi fece alzare i piedi un bel po' di volte, se li rimirò ben bene ma, per almeno una volta nella mia vita, la parte la recitai bene. Avevo anche fatto un ottimo maquillage alle piante del piede, sapevo che lo sguardo ha la sua importanza, e se non erano occhi poco importa. I miei piedi, quel giorno, avevano uno sguardo convincente, antierotico al cubo, questo serviva.
Me lo fecero penare il congedo ma alla fine arrivò.
La regina ora.
Perchè solo una?
Quelle che ho conosciuto meglio sono state due.
Una bianca e una nera.




lunedì, ottobre 12, 2009

Della misura giusta

Un saggio d. J.B.S. Haldane, secondo me sempre attuale e troppo poco conosciuto, almeno in Italia.
Di seguito due link a questo scritto, in inglese e in italiano.

Della misura giusta

On being the right size


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domenica, ottobre 11, 2009

Lambda

Metti un segno.
Sul foglio bianco o sulla tela metti un segno.
Quel segno germoglierà.
Non si sa ancora in cosa si trasformerà.
Potrà essere un aborto o Venere e Apollo.
Ma se non metti un segno ci sarà solo il nulla.

Il segno è lambda e lambda è Sparta.

Non amo le guerre.
Di solito sono guerre altrui.
Non mi hanno cresciuto soldato. Non appartengo a nessuna truppa.
Quando marcerete verso una scarica di mitraglia io sarò un passo dietro a voi a farmi scudo col vostro corpo perchè non sono un soldato.
Non mi hanno cresciuto a colpi di frusta ma quando ero dolorante lamentarsi era il secondo dei più grandi peccati, dopo quello di buttare via il cibo.
Quando, ormai veterani, vi vanterete delle vostre ferite io piangerò delle mie perchè ho mancato nella difesa del mio corpo e rimpiangerò di non aver ucciso prima tutti quelli che mi hanno ferito.
Non mi hanno cresciuto con l'ossesione delle armi ma quando vedo un katana mi sento vicino a una tra le più perfette creazioni umane.
Quando non ce la farete più a sopportare la vergogna di voi stessi e cercherete quella che chiamate onorevole morte io vi guarderò con disprezzo. L'unico dovere del guerriero è sopravvivere per poter fare il prossimo passo della sua marcia, per poter infliggere il prossimo colpo.

Metti un segno e chiamalo lambda.
E lambda è Sparta.
Aspetta che quel segno cresca e che maturi.
Siediti a guardare il tempo che lo cancella.

La città di Sparta non è che una pianura desolata.
Ma la città di Sparta non è Sparta.
Non ho mosso un dito per difenderla dallo scorrere del tempo.
Io non sono un soldato. Sono un guerriero. Io decido le mie guerre.
Io combatto per le idee, non per le bandiere. Difendere le bandiere sono solo guerre perse.
Io decido le mie guerre e le devo vincere.
Lasciate che gli spiriti dei soldati rimpiangano le solide mura di quella città. Che vaghino nella desolata pianura. Che il loro nulla dimori in quei pochi ruderi che stanno per scomparire.

Metti un segno che si chiama lambda.
E lambda è Sparta.
Guardalo soffrire e guardalo morire.
Non fare nulla.
Non aiutarlo, non difenderlo.
Non aiutarlo nemmeno a morire.

Sparta vive.
Perchè io sono Sparta. Io sono un guerriero e sono Sparta. Io decido le mie guerre e la mia guerra è Sparta e Sparta sono io.
Non tentate di fermare la mia marcia. Devo fare il prossimo passo perchè Sparta continui a vivere. Non provate a fermarmi, estrarrei il mio katana e vi ucciderei con un solo fendente. Senza emozione. Non cercate di fermare la marcia di Sparta. Non provate a fermare il guerriero che combatte la sua guerra.

Metti un segno su un foglio bianco o su una tela.
Chiamalo lambda e lambda è Sparta.
Lambda è Sparta e Sparta sono io.
Metti un segno.
Guardalo a vivere e a morire ma non fermarlo.
Guarda un segno che cammina.
Osserva lambda mentre marcia ma stalle ben lontano.
Metti un segno ed è un guerriero che combatte la sua guerra.
Non cercare di fermare la sua marcia se tieni alla tua vita.
Metti un segno che è te stesso.
Metti un segno che è lambda e Sparta ed io.
Guardati a vivere e a morire ma non fermare la tua marcia.
Non fermarti e combatti la tua guerra.
Sparta vive.

Il Piacere

"Marco, piacere".
"Piacere mio".

Fine



P.S.
Se m'impegno riesco ad arrivare a pozzi di stupidità anche peggiori.

P.S.2
Però... Gabriele D'Annunzio, se fosse stato veramente un esteta, quando faceva il poeta soldato avrebbe dovuto mutare nome in Michele della Spada.

PSP
Ho paura che quest'aggeggio infernale rischi di rincoglionire mio nipote.


.

sabato, ottobre 10, 2009

5 W under the carpet


Fra le varie gite culturali-educative a cui partecipai nel periodo in cui frequentai la scuola dell'obbligo quella che più mi piacque fu una a Torino, in terza elementare credo, per visitare il museo egizio.
Ci caricarono sulla corriera e, dopo una decina di ciodo del fero vegio de la mecanica de la mecanica de la mecanica de precision col contorno di un mazzolin di fiori che vien dalla montagna in quantità imprecisata, arrivammo davanti al museo, chiuso per riposo settimanale.
Grandi organizzatori, non c'è che dire, ma anche elastici e pronti all'improvvisazione.
Sul momento decisero di portarci a visitare la Sacra di San Michele in Val di Susa.
Fu una fortuna.
Grazie all'imprevisto, anche se facilmente prevedibile, cambio di programma visitai uno degli edifici che più mi hanno impressionato tra tutte costruzioni che ho visto nella mia vita.
Ancora oggi la ricordo come una Chartres su un cocuzzolo di una montagna con, diversamente da Chartres, una stratificazione della storia durata millenni. Non ha l'unità stilistica della cattedrale francese ma quel disordine che solo la polvere dei secoli può lasciare, secoli vissuti, popoli che passano, muri che crollano, errori di progettazione corretti con archi rampanti, un non-stile che mi piace in modo particolare.
Un'altra volta, sono sicuro, durante la quinta elementare, ci portarono a Salò per visitare il Vittoriale. Meno male che c'era il biplano con cui il cosidetto vate volò sopra Vienna durante la Grande Guerra. Se non fosse stato per quello credo che sarei morto di overdose per la massiccia dose di retorica che mi fu somministrata per via auricolare. Da patito d'aviazione, come ero da bambino ed anche un po' più in là con gli anni, ero contento di poter vedere un aeroplano così da vicino, toccarlo persino, e l'attardarmi in quella sala per poter ammirare estasiato quella macchina mi salvò dai maestri in trance nazionale-mistica, preoccupati d'infondere nella gioventù l'amor di patria attraverso i motti e le gesta del poeta che scrisse la pioggia nel pineto.
Lo amo talmente tanto Gabriele D'Annunzio, il poeta parolaio, che scrissi, anni dopo, una poesia ispirata dalla sua pioggia.

Piove.
Piove a Lazise
Piove a Desenzano
Ma che tempo farà...
...a Sirmione!?
Piove.

Anche durante i tre anni delle medie ci portarono un po' in giro nel nord-ovest d'Italia ma non ricordo nulla degno di nota a proposito dei luoghi che visitammo, se non che in terza media la gita la facemmo pochi giorni dopo un pomeriggio durante il quale seguii una presentazione di un corso di giornalismo.
Fu durante quella lezione che sentii, per la prima volta, parlare della regola delle 5 W.
Who.
What.
When.
Where.
Why.
Mi piacque.
Mai voluto fare il giornalista né l'ho mai fatto, ma quella regola mi piacque.
Pochi giorni dopo quella lezione ci fu la gita di terza media, una gita turbolenta. Complice il fatto che cominciavano ad alzarsi i livelli del testosterone in noi maschi e le femmine avevano già sviluppato i loro caratteri sessuali secondari. Insomma, i bambini crescono, e complice anche la situazione economica e socioculturale del tempo che favoriva l'inizio della carriera di fumatore proprio a quell'età la trasferta di culturale ebbe ben poco. In compenso il clima all'interno della corriera divenne nebbioso e le mani di alcuni non stavano attaccate solamente al polso del proprietario.
Non mi ricordo grandi scenate dei professori, né decisi interventi per calmare i più esagitati, ma il corpo insegnante, che stazionava nelle prime file dell'autobus, di qualcosa si accorse.
Il giorno dopo, con intenti punitivi e terroristici, del tipo pagate tutti per quello che hanno fatto alcuni, l'insegnante ci assegnò come compito, a cui avrebbe dato un voto, di scrivere una relazione su cosa avessimo visto e imparato in quella gita.
Durante l'intervallo ci trovammo a parlare un po' di noi della classe.
L'intento punitivo non piaceva ai più. A me non dava un gran fastidio, scrivere una cosa piuttosto che un'altra non mi cambiava la vita, ero tranquillo e con tanta voglia di scherzare. Mi ricordai della lezione di giornalismo e solo per giocare dissi ai miei compagni:
“Ma chi se ne frega. Io scrivo tutto quello che abbiamo fatto, anche quello che è successo sulla corriera, faccio una cronaca della giornata, chi, dove, quando...”.
Un mio amico mi guardò un po' preoccupato e poi se ne uscì' con queste parole:
“Non hai il coraggio”.
Coraggio, che c'entra il coraggio?
Li guardai un po'. Era una sfida già vinta, non potevo lasciare correre.
“Il coraggio lo dovete avere voi, io, se mi date il permesso di farlo, scrivo tutto, nome compreso. Ce l'avete il coraggio”? Dissi.
Andai assieme al gruppetto con cui avevo scambiato quelle parole in corridoio da tutti i compagni di classe e chiesi loro quello che già avevo chiesto a chi mi stava accompagnando:
“Senti, visto che dobbiamo farlo tutti 'sto temino, io vorrei fare una cronaca, come fanno sui giornali, di quello che è successo, sigarette e il resto compreso, tutto insomma. Vorrei mettere anche i nomi. Mi dai il permesso di usare il tuo a proposito di quello che hai fatto”.
Non lo chiesi così formalmente ma non usai provocazioni per spingerli ad accettare. Ripensandoci ora non riesco a spiegarmi come mai ottenni solo dei sì.
Lo scrissi e lo consegnai.
Alla fine, per mancanza di tempo, dovetti tagliare un bel po' di episodi e si ridusse ad essere essenzialmente la cronaca del viaggio di ritorno.
Passarono un paio di giorni.
Eravamo in classe, lezione d'italiano, e la prof non ci aveva ancora consegnato il tema. Io ero curioso di sapere che voto avessi preso. Bussarono alla porta. Era la prof di matematica che entrando mi guardò direttamente negli occhi e disse:
“Marco, vieni con me in corridoio che ti devo parlare”.
"Che vorrà"? Pensai.
Non ero preoccupato, in matematica andavo più che bene.
Quando fummo fuori mi guardo scura in volto e mi disse:
“Da te non me lo sarei mai aspettato”.
“Cosa”? Chiesi un po' timoroso ma del tutto ignaro.
Cominciò a parlare del tema che avevo fatto, di quanto fossi stato volgare, di quanto irrispettoso della scuola e dei miei compagni...
“Ma io ho fatto una cronaca, mica ho inventato”. Dissi credendo di dire la cosa giusta.
“Stai zitto”!
Continuò ancora per un po' ed io pensai che il problema fossero i nomi, forse pensava avessi fatto la spia:
“Ho chiesto il permesso prima di scrivere, ai miei compagni ho chiesto il permesso...”.
Si arrabbiò. Parlò di comportamenti da criminale, del rispetto delle regole, della società civile e dei barbari... Io non capivo. Perché ero lì, in corridoio con quella di matematica ad ascoltare una ramanzina per un compito d'italiano? Perché non me l'aveva fatta in classe quella d'italiano?
Il timore lentamente si trasformò in una sorda incazzatura.
La lasciai sfogare.
Suonò la campanella:
“Spero che sia la prima e ultima volta. Hai capito”? Concluse.
“Sì”. Mentii.
Se ne andò lasciandomi solo nel corridoio con tutti i sacramenti che litigavano tra loro.
Sì aprì la porta della mia classe e i miei compagni si avvicinarono:
“Ma perché hai scritto...”.
Non gli feci finire la frase e a bruciapelo chiesi:
“Vi ho chiesto il permesso o no”?
Abbassò gli occhi e disse sì.
Con i miei compagni la cosa finì lì.
Ma non solo con loro la cosa finì in quel momento. Passata l'incazzatura per una ramanzina incomprensibile nella sostanza e nei modi in cui mi fu fatta, i compagni di classe mi dissero che il tema, così aveva detto la prof d'italiano mentre stavo in corridoio, non sarebbe stato valutato e dunque non c'era nessun motivo per riconsegnarlo agli alunni. Le prove che avevamo sostenuto in precedenza erano sufficienti per la valutazione di fine anno e quel tema sarebbe stato di troppo.
A pensarci bene più che finire non iniziò proprio.
La mia cronaca non la rividi mai e così fu anche per i temi di tutti i miei compagni. Si può pensare che non furono mai stati scritti.
Imparai una cosa in quella occasione. Al corso di giornalismo non mi avevano detto che non bastava scrivere chi, cosa, dove, quando e perché.
C'è anche un'altra regola. Per qualcuno certe cose non si devono scrivere e basta. Non sarà una regola da corso di giornalismo ma io, quel giorno, ho imparato che esiste.
Se queste cose vengono scritte la prima cosa e la più semplice da fare è nascondere quello che è stato scritto, così come si nasconde la polvere sotto il tappeto.
Ma, scopa oggi, nascondi domani, sotto il tappeto la polvere si accumula fino a diventare una montagna e, quando il tappeto è ormai vicino al soffitto, questo monte di spazzatura ha alte probabilità di crollo. Più la montagna sotto il tappeto è alta, più è vicino il momento del crollo. Probabilità così alta che diventa una certezza.
Quando la montagna di polvere sotto il tappeto crolla lo sporco si deposita per tutta la casa ed è impossibile non vederlo. Tutti, anche quelli che erano orgogliosi di vivere in una casa che sembrava così ben pulita, allora si accorgono di quanta schifezza sta vicino a loro.
E di quanto inutile è stato quel tappeto.
Sempre preferito la regia alla recitazione.
Mi piaceva preparare le feste, quelle cose che si facevano ai tempi delle superiori, il giorno prima. Ma il giorno della festa sarei stato volentieri a casa.
Perchè poi ci andavo?
Non mi sono mai divertito. Era come andare a messa.
Forse perchè ci andavano i miei amici. Insitevano? Credo di sì, non ricordo molto.
Mi sono sempre sentito fuori posto.
Una mi torna in mente perchè ho provato a recitare. Festa di carnevale. Io odio il carnevale. Un po' perchè quando ero poco più che bambino il carnevale era pericoloso. Farina, manganelli...una guerra. Un po' perchè mettere una maschera sopra alla maschera mi sembra troppo.
Per quella festa ci mascherammo da blues brothers, credo che sia stata una delle pochissime volte che ho messo la cravatta. Divertente il reperimento del materiale. Alla fine stavamo proprio bene, sembravamo veri.
Mi ritrovai a ballare con una ragazza e volli immaginarmi figo. Alla fin fine anche un regista conosce le battute giuste.
Riuscii a parlare del più e del meno e quando venne il momento in cui i due protagonisti si accorgono che sono fatti l'uno per l'altra, il copione lo richiedeva, mi tolsi gli occhiali da sole e la guardai dritta negli occhi:
"Sai, se fossimo in un film, cosa ti direi"?
I suoi occhi divennero languidi e con un accenno di sorriso mi chiese:
"No, cosa mi diresti"?
Non mi venne la battuta.
Per un regista con partecipazione alla sceneggiatura e al soggetto è una cosa da disperazione profonda e vergogna insopportabile.
La musica finì e con una scusa mi allontanai.
Sopportai per giorni gli insulti dei miei amici che non capivano quello che era successo.
Ma io mi ero sentito talmente ridicolo in quel momento!
Un'altra che mi ricordo è una festa -forse san Silvestro- dove, sì, ci sono andato, ma ci sono stato pochissimo.
C'era un mio compagno di classe, quasi un amico, mi dispiace averne perso le tracce dopo la fine del liceo, che aveva...non stava bene come me.
Siamo usciti per parlare, nevicava, senza coprirci. Abbiamo girato per ore in quel paesello, abbiamo parlato per ore. Quando siamo tornati nella baraonda tremavamo.
Io mi sono attaccato alla bottiglia della grappa che al momento da' una sensazione di calore.
Non ho, però, considerato che oltre alla qualità c'è anche la quantità.
Ho vomitato per tutto il resto della notte.
Tutto sommato è stata la festa migliore che ricordo.

mercoledì, ottobre 07, 2009

Temino della sera


Un inverno del secolo scorso mi capitò d'andare a vedere una partita di hockey a Milano, non nel palazzo del ghiaccio in via Piranesi, era in quell'altro posto, in via dei ciclamini se ricordo bene, che avevano appena finito di costruire. Per di più era il derby tra le due squadre di Milano, non mi ricordo come si chiamavano ma una era stata acquistata dal milan. Io, seppur non tifoso ne gran conoscitore di hockey, tifavo per l'altra, è una questione di karma, anima o spirito. Se c'è qualcosa che si chiama milan io sto dall'altra parte. Essendo il derby le misure di sicurezza erano molte se si tiene presente che l'hockey in Italia non lo segue quasi nessuno. C'erano un sacco di carabinieri e perquisivano tutti all'entrata.
"Merda"!
Ho pensato quando ho capito che dovevo sopportare che qualcuno mi mettesse la mani addosso, non si usavano ancora gli aggeggi che segnalano il metallo, l'unico strumento in uso era il carabiniere palpatore.
Io odio essere toccato ma ormai ero là, in fila, con il biglietto in mano. Odio anche buttare i soldi dalla finestra e non è che sia facile rivendere un biglietto di una partita di hockey a Milano a partita quasi iniziata se avessi deciso d'andarmene. Cominciai a prepararmi mentalmente all'esplorazione che di lì a poco avrei subito.
Quando venne il mio turno e mi trovai davanti al carabiniere mi estraniai quel tanto per meglio sopportare il supplizio.
"Alza le braccia e allarga le gambe". Disse il militare.
Eseguii senza protestare, un po' offeso che mi chiedesse a freddo di allargare le gambe senza neanche corteggiarmi un po'. No, questa è una battutaccia che faccio adesso, allora eseguii e basta.
Cominciò l'esplorazione dalle caviglie a salire. Quando arrivò all'altezza del bacino, dove ci sono le tasche dei pantaloni, sì fermò un attimo, alzò lo sguardo verso i miei occhi che lo stavano osservando per capire quando la tortura sarebbe finita e, a voce alta, mi domandò:
"Chiavi"?
Lo guardai malissimo con gli occhi sbarrati per la sorpresa.
Vedendo il mio sguardo anche lui ebbe un sussulto, sorrise imbarazzato e arrossendo leggermente farfugliò:
"Cioè, volevo dire, quelle che hai in tasca sono delle chiavi".
"Ah"! Risposi sollevato "Sì, sono le chiavi di casa".

Avrei un richiesta per le prossime perquisizioni. A me da fastitdio essere toccato comunque e dovunque, tranne in quei rari momenti, ma se dovesse accadere ancora che mi vogliate perquisire, non potreste farlo fare a una carabiniera?
Almeno se una carabiniera mi domandasse - Chiavi? - potrei rispondere - Guardi, al momento no, magari il mese prossimo, quando comincia la stagione degli amori, ha presente i gatti, ogni tanto capita anche a me, le lascio il mio numero di telefono, lei provi a chiamare, magari è fortunata e mi trova in uno dei miei momenti di socialità e se ne può parlare -.

Dongiovanni vs. Donnagiovanna

Il tombeur de femmes francese, quando vuole fare il figo, alla domanda di quale morte preferisce morire risponde:
"De la petite morte". Sorridendo maliziosamente.

La tombeuse d'hommes of everywhere place in the world, specialmente se il tombeur è riche aussi, ricambia il sorriso lasciando intravedere una punta di lingua tra i denti mentre trastulla un anello al dito.

martedì, ottobre 06, 2009

Tramonto tra mare e monti


L'aver molto spesso la testa da qualche altra parte, oltre al tornare a piedi quando vado in bicicletta in un posto, raro me è capitato, implica darsi dell'idiota 5 minuti dopo , a volte quando sono particolarmente sveglio e in fase anche solo pochi secondi dopo.
Dopo che?
Dopo che qualche circuito neuronale secondario, penso appartenente alla linea dedicata alla sicurezza e al mantenimento in funzione del dispositivo marco 29081962, è intervenuto a segnalare al sistema di elaborazione centrale che lo stimolo precedentemente filtrato come rumore era invece un'informazione significativa.
Se rinasco voglio essere un microprocessore - dai, mi allargo, un miniprocessore - con un ritardo massimo di 9 nanosecondi.
Master però, ché gli altri processori che mi voglion far fare quello che vogliono loro mi fanno subito girare le balle. E il sistema si fotta pure, che è un risultato anche quello.

Era bello stare in riva al mare, solo, a guardare il tramonto.
La spiaggia di Viareggio o lì vicino durante una gita scolastica di fine inverno o inizio primavera, quelle gite che durano tre o quattro giorni, sex, drug and rock 'n' roll.
Come no!
Nei film forse.
Noi ci si accontentava di andare in alberghi di località balneari non ancora aperti al pubblico veramente pagante perchè sprovvisti di riscaldamento, erano costruiti per funzionare solo d'estate e utilizzavano noi studenti per il rodaggio prima dell'apertura, e in quel caso anche senza coperte.
Sopravvivere al freddo della notte era già qualcosa, specialmente per coloro che si erano avventurati nell'esperienza della doccia gelata. Niente riscaldamento, niente acqua calda, ché per dei govani virgulti è disdicevole abituarli a simili comodità. Ne va dell'uomo e della sua tempra.
Ah già!
Eravamo sulla spiaggia...torniamoci. Ci si muove e con addosso il cappotto ci si riscalda.
Proprio bello il mare d'inverno. Al tramonto poi!
La musica della risacca e quella brezza che risuona nelle orecchie...Cazzo!
Ho lasciato il cappello in camera, mi si gelano le orecchie. Alzo il bavero del cappotto, intanto il mio sguardo si perde all'orizzonte.
Ma che bei colori!
E penso...
A che penso?
Boh!
Dopo tutti questi anni chi se lo ricorda più. In ogni caso a qualcosa stavo pensando, non è possibile non pensare.
Il sole riflette nel mare, che ancora lascia intravedere il suo blu prima che diventi nero, i suoi raggi sempre più arancioni fino a diventare di un rosso acceso e, alla mia sinistra mi sento sfiorare, una mano si appoggia al mio braccio, sento questo rumore:
"Ciao Marco, che bello questo tramonto. Romantico. Come è bello il mare"!
Mi giro verso l'interferenza e vedo che è una mia compagna di classe, ma in quel momento, per me, poteva essere anche un cammello.
A ben ricordare era carina, aveva anche le migliori gobbe di tutta la classe ma, in quel momento e solo per me, era un'interferenza che disturbava l'elaborazione in corso.
La fissai un attimo negli occhi e, onestamente, chiaramente, impassibilmente le dissi:
"Preferisco la montagna".
Mi rigirai verso il mare.
Solo diversi minuti dopo intervenne il circuito di sicurezza che lanciò la procedura PIRLA!!!
La procedura PIRLA!!!, quando interviene, seppur in ritardo, blocca l'elaborazione dei dati in coda e carica quelli in cima alla pila confrontandoli col contesto.
Mi girai di scatto verso sinistra ma non c'era più nessuno.
Mi rimisi a guardare il tramonto sul mare.
Non era più così bello.

domenica, ottobre 04, 2009

giovedì, ottobre 01, 2009

Triwycillina A.P. and coffee

Sono abbastanza vecchio per ricordarmi il tempo in cui le iniezioni si facevano con la siringa di vetro.
La preparazione era un rito.
Per prima cosa fare bollire nell'acqua contenuta in un apposito pentolino d'alluminio, che ricordo incrostato di calcare, il cilindro, il pistone e l'ago. Quando si supponeva che fossero abbastanza sterilizzati si levava il ripiano sopra il quale le parti della siringa erano appoggiate dall'acqua e, ancora calde, si montavano assieme.
A casa mia era mia madre che faceva le punture a tutta la famiglia e, quando serviva, anche a qualcun'altro del vicinato; dopo la sterilizzazione ed il montaggio dell'attrezzo procedeva al suo riempimento con il farmaco. Con la sinistra teneva la fiala o il flaconcino chiuso con un sottile tappo di gomma da perforare con l'ago, dipendeva dalla confezione della medicina, mentre con la destra impugnava la siringa e contemporaneamente tirava il pistone per trasferire il contenuto dalla fiala alla siringa.
Tra i 5 anni e la fine delle elementari provai più volte cosa si prova a stare dall'altra parte dell'ago.
Non mi ricordo per quale malattia, nulla di grave suppongo, dovetti sopportare quasi ogni inverno la prescrizione di quel maledetto antibiotico. Per mesi, una volta 5, un'altra 8, degli altri cicli di cura non mi ricordo la durata, ogni 15 giorni, la domenica sera, avevo un appuntamento con quella materia semiliquida e bianca che, passando attraverso un ago, doveva trasferirsi in un mio gluteo. Nel mio caso mia madre doveva fare un passo in più per preparare l'iniezione. Doveva prima impastare -no, non si scioglieva - con dell'acqua distillata contenuta in una fiala la polvere dell'antibiotico che stava in un flaconcino. Era un semifluido lungo da iniettare perchè molto denso e il dolore che provocava dava l'impressione di aumentare in maniera "esponenziale", quasi un crescendo d'orchestra, accelerando. La mattina dopo, a scuola, la passavo seduto solo sull'altra metà.
Ho conosciuto altri coetanei che hanno provato quel composto e tutti lo hanno descritto come gesso liquido. Esattamente come lo chiamavo io.


Anni e anni dopo mia mamma stette male ed il medico le prescrisse delle iniezioni. Chiese, prima d'andarsene, se ci fosse qualcuno in casa capace di farle . Immediatamente dalla bocca mi uscì:
"Io".
Mia mamma mi guardò sorpresa e mi chiese se mi fidavo a farle, perchè non avevo mai provato prima. Le risposi:
"Mamma, mal che vada il dolore lo senti tu...Con tutto quello che ho sentito io a quei tempi! Sì vendetta, tremenda vendetta".



"Maledetto calcare!
Possibile che debba cambiare la pompa della macchina per il caffè espresso dopo così poco tempo perchè s'intasa, si grippa per il calcare, o far passare l'acqua in dei filtri che non filtrano un cazzo!?
Addirittura per addolcire l'acqua e non dover cambiare spesso la pompa mi vogliono vendere una polverina. E gìà! Io mi metto a bere il caffe con dentro una polverina... E' una macchina per fare il caffè, mica una lavatrice"!!!
A quel punto mi ricordai del bollitore per siringhe incrostato di calcare.
"La durezza dell'acqua, i gradi francesi...uhm? Non li ho studiati ma una lettura veloce glielo avevo data, mi sembra di ricordare. Andiamo a vedere sul libro di chimica".
La durezza è temporanea e permanente...
"Temporanea? Forse si può togliere allora.
Leggiamo meglio".

Ca(HCO3)2 (aq) ⇌ CaCO3 (s) + CO2(g) + H2O (aq)

A temperature maggiori di 80 °C tale equilibrio è spostato verso destra, per cui si considera come "temporaneo" il contributo degli idrogenocarbonati alla durezza totale, visto che a seguito dell'ebollizione tale contributo svanisce per la formazione di un precipitato.*

"Ma allora faccio bollire l'acqua e poi sul fondo della pentola troverò questo calcare. La travaso in un bottiglione filtrandola o anche solo stando attento di non smuovere troppo quello che c'è sul fondo e non avro più bisogno di filtri, polverine o costosi ricambi. Non azzero la durezza ma comunque la diminuisco.
In più avrò un caffè fatto con dell'acqua che conserva i suoi sali minerali e senza aggiunte di polveri di dubbia provenienza e cattivo sapore. Proviamo a fare così".

Dopo più di 18 anni posso dire che funziona. Spreco un po' di gas in estate, in inverno contribuisce al riscaldamento, ma il vantaggio che ne ricavo vale la spesa.


*Copiaincollato da wikipedia. Al tempo in cui ho iniziato a fare così wikipedia non era nemmeno in fasce.