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giovedì, maggio 23, 2013

Storia, un po' di sculacciate, fantascienza e se fate i bravi vi beccate anche l'economia.

Ho appena finito di leggere "il mondo tardo antico" di  Peter Brown.
Ci ho messo un sacco di tempo per finirlo; tanti pensieri per la testa e qualche noia mi impedivano la concentrazione minima per apprezzare un libro che non è un romanzo.
Interessante, mi piacciono questi studi di periodi di cambiamento non limitati ai confini degli stati attuali ma estesi a tutto il mondo allora conosciuto.

Prima di questo, o meglio, mentre leggevo anche questo ho letto Il "diario di una sottomessa" della pseudonominata Sophie Morgan.
Inizio interessante (mi ci vuol poco per interessarmi, un po' di più per mantenere l'interesse) ma proseguendo mi ha annoiato. Essì, ho una sopportazione dell'erotismo letterario limitata a poche pagine. Per di più alla quarta volta che scrive, dopo un orgasmo, che ritorna sulla terra io comincio a pensare che non si tratta di una donna e del diario di una praticante sadomaso ma di un'astronave e mi vien nostalgia di "io robot" di Asimov.

Rimettendo sulla mensola il libro appena finito ne prendo un altro che saran più di 10 anni che sta lì a prender polvere senza che l'abbia mai aperto. Da noi si dice " Suc e melun, la sua stagiun (zucche e meloni hanno la loro stagione). Si vede che è maturato, o è maturato il mio interesse ed è pronto per essere letto. Se riuscirò anche a digerirlo potrò dirlo poi, per il momento ho appena aperto la copertina e mi sono fermato alle citazioni che l'autore scrive nelle prime pagine. 
Ah, dimenticavo il titolo e  autore, rimedio subito: "Storia del paesaggio agrario italiano", Emilio Sereni.
La prima è una cosa di Saffo, farei il figo a scrivere che sia un epigramma, ma non ho idea di cosa sia un epigramma. 
Giro pagina.
La seconda citazione è quella che riporto qui sotto, aiutato dal computer che permette rapidi copiaincolla e dalla rete in cui si trova di tutto (pure troppo) che mi consente di scrivere che si tratta di un'operetta morale.


...ora in queste cose, una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura.
LEOPARDI, Elogio degli uccelli


Qui l'interessante è  veramente interessante, almeno per me.
Una delle frasi che più mi è rimasta in mente fra le tante che ho letto nelle mie disordinatissime letture, trovata su un testo intitolato "Economia preindustriale" di Paolo Malanima, leggendo il quale ho imparato che una delle più grandi invenzioni di prima della rivoluzione industriale è stato il giogo per cavalli e ho visto come si costruisce una piramide demografica e molte altre cose, è la seguente frase:

Il campo coltivato non esiste in natura. 

Mi risparmio il pistolotto finale sull'innaturalità dell'uomo (è evidentemente naturale, altrimenti non ci sarebbe ed evolvendo scomparirà comunque), la difesa del territorio (sarà una cosa tipo una torre saracena, credo, o una fortezza con le mura spesse spesse...) e non trovando nessuna alternativa al rifugiarmi in crypta per sfuggire la peste, perchè dover scegliere tra criminali e cretini mi ammorba, mi fermo qui e per rompere le gonadi fino alla fine (volevo scrivere coglioni ma non vorrei essere accusato di maschilismo) concludo con un pezzo di Webern.


 


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