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martedì, marzo 13, 2012

IL CAMERIERE

Quelli che odio di più sono quelli che cercano di prenderti il piatto dalle mani mentre li stai servendo. Ti guardano con quel sorriso idiota mentre cercano di rubarti il piatto dalle mani, rischiando di farlo cadere, quasi volessero farti notare come sono generosi ad abbassarsi al tuo livello mentre loro stanno gozzovigliando, spendendo e spandendo per cibi che lasciano nel piatto o che ingurgitano fino all’indigestione, neanche venissero da un posto dove si muore di fame anche se sono tutti vestiti da signori.
Non importa come mi chiamo, qualcuno ancora mi chiama ragazzo anche se ho i capelli bianchi. Faccio il cameriere.
Servo.
Non capiscono che il mio lavoro è fatto di passi, movimenti ed equilibrismi che vengono costruiti ripetendoli giorno per giorno e i loro scomposti movimenti non fanno altro che rendere più difficile il mio compito. Ho imparato a farlo, come s’impara un qualsiasi altro mestiere.
Sette passi dall’uscita della cucina fino ad arrivare alla zona dei tavoli di mia competenza, stando attenti a non scontrarsi col collega semicieco che sta rientrando a prendere altri piatti o sta portando quelli sporchi dove ci sono le lavastoviglie. Due passi a destra per arrivare al tavolo tre poi mezzo passo di lato per mettermi alle spalle del cliente numero uno seduto a quel tavolo. Qualche parola per avvertirlo che sto per servirlo, un prego signore o una qualsiasi altra formula di cortesia prestampata e, quando mi accorgo che ha inteso, un altro mezzo passo per mettermi al suo fianco e…e l’idiota a quel punto cerca di strapparmi il piatto dalla mano. Se contenesse una zuppa succederebbe un macello e sarei anche costretto a chiedere scusa e a sorbirmi una ramanzina in pubblico dal padrone del ristorante.
Non lo fanno tutti ma lo fanno persone di ogni genere. Il padre del bambino che festeggia la prima comunione, vestito con l’abito della festa che ha atteso anni, chiuso nell’armadio, prima di poter vedere di nuovo la luce dopo che era stato comprato per il battesimo del figlio. O il padre della sposa che rimira la figlia e il fesso che l’ha sposata mentre conta a mente quanto risparmierà a non dover essere più lui a comprarle le scarpe. Oppure il riccastro con la sua puttana del momento che non sa che lei mi ha appena dato una mancia per fare una faccia sorpresa quando “casualmente” mi accorgo che lei non porta le mutandine. L’alto prelato in uno dei suoi rari ed inutili momenti di malintesa carità cristiana. Anche qualche signora che non sa resistere al richiamo della massaia che è in lei allunga il braccio che deborda da un abito senza maniche comprato almeno trenta chili fa per cercare di carpire qualche secondo prima il cibo che non riuscirà comunque a placare i suoi appetiti.
Tutta questa gente e tanta altra ancora è quella che servo in questo ristorante in cui sono costretto a lavorare per una paga da fame.
Ho imparato anche un’altra cosa. Se per gli altri mestieri si dice che si è un elettricista, un idraulico o un ingegnere s’intende principalmente che li si fa. Per il cameriere no. Cameriere si diventa completamente. Cameriere si finisce per esserlo. Il cameriere serve e basta. L’ho imparato vedendo come si comporta con me il mio padrone che, nel piano sopra il ristorante, abita una stanza di fianco alla mia, molto più grande e ben arredata della mia, dove ha tutto quello che gli serve, dalla scrivania con sopra il computer fino al letto circolare col baldacchino. Io sto qui perché non posso permettermi altro, lui, che possiede altre case, per non distaccarsi dalla sua roba, da quello che faticosamente ha costruito, dice lui, e per poter portare in camera, senza farsi vedere dalla moglie, che comunque non vedrebbe niente, le puttane che paga profumatamente ma sempre troppo poco per il disgusto che queste dovranno sopportare quando toccheranno il suo corpo sulla via del disfacimento. Entra sempre abbracciato alla prostituta all’ora in cui siamo tutti impegnati a preparare la sala per il pranzo della sera. Dà ordini a destra e a manca e intanto le tocca il culo e sghignazza. Poi si avvia verso la sua camera e, mentre sale le scale, ci urla di lavorare e che se ha bisogno io, oppure un altro dei suoi camerieri, quando chiamerà, di scattare e andare da lui di sopra. Lo fa per farsi vedere seminudo disteso sul letto, mentre la puttana si sta ancora rivestendo, il porco, e ci chiede sbadigliando come procede il lavoro e di portagli una bottiglia d’acqua, una volta naturale e un’altra gasata, non importa. Lo fa solo per farci vedere che è lui il gallo del pollaio.
Da in po’ di tempo si è appassionato ad un gioco che si fa col computer in internet, una specie di ritrovo tra persone che si vedono sullo schermo disegnate come cartoni animati, ma dei bei cartoni animati, in cui è possibile avere proprietà e costruirci case e tutto quello che si vuole e si riesce a disegnare. Quando me ne sono accorto, vedendolo distratto da quello che appariva sullo schermo del suo computer, un giorno che ero in camera sua per portargli i rendiconti della sera, gli ho detto che un po’ con l’informatica me la cavavo e che in quel gioco ci ero capitato anni prima. Gli ho spiegato che avevo imparato a costruire e che potevo essergli utile per rendere unica la sua casa, o qualsiasi altra cosa lui desiderasse in quel gioco. Lui mi ha squadrato, mi ha detto di dimostrargli quello che dicevo e mi ha fatto sedere alla sua scrivania. Prima di diventare cameriere facevo altro, in un paio d’ore gli ho migliorato la parte dei possedimenti che aveva in quel gioco che mi aveva messo a disposizione per esaminarmi. Gli è piaciuto molto quello che ho fatto quella sera e mi ha ordinato di iscrivermi di nuovo a quel gioco, immediatamente dopo aver ammirato il mio lavoro.
Mi ha dato il suo vecchio computer perché potessi collegarmi dalla mia camera, questo almeno mi ha procurato il vantaggio di non sentire la sua puzza mentre ero occupato a rendergli il divertimento più piacevole e ad aumentare il suo poteruncolo pure lì.
Mi sono offerto solo per una ragione. Non arrivavo a sperare che mi aumentasse la paga ma che magari, visto il buon lavoro che ero sicuro di saper fare, mi avrebbe allungato qualche banconota in un impeto di generosità. Ma il vecchiaccio è anche avaro col braccino tanto corto da non riuscire più nemmeno a farsi seghe. Sono andato avanti per mesi a costruire cose che potessero soddisfare le sue perversioni ma di soldi nemmeno l’ombra.
Mentre costruivo case, mobili e anche nuove posizioni erotiche per far divertire quel maiale, vedevo arrivare nella sua proprietà quelli che lì erano i suoi amici, o meglio, le sue amichette. Un harem di troiette che morivano dietro a questo vecchio porco obeso e sudaticcio anche quando siamo sottozero. Non capisco che ci trovino in lui, non le paga nemmeno, ma è circondato da questa mandria di bambine infoiate e in eterna ricerca del maschio alfa dei loro incubi tanto da aver sempre fretta di darla via anche quando sono solo disegnate dentro uno schermo. Credevo di guadagnare invece anche le mie notti sono diventate un inferno. Devo star sveglio fino a tardi collegato a quel gioco e guardare quello che il pervertito fa, sempre pronto ad esaudire ogni suo desiderio. Fammi apparire questo, fa scomparire quello, insegna a questa troia come ci si mette alla pecorina; e io devo farmi in quattro per accontentarlo, costruisco, sposto, insegno…per fortuna che non è gay altrimenti avrei passato il resto di quelle notti al cesso a vomitare.
Proprio ieri per un attimo ho sperato che fosse arrivato il momento in cui avrei avuto qualche vantaggio, economico naturalmente. Magari una mancetta o un piccolo fuori busta tanto da potermi permettere di comprare qualcosa che mi piace. Mi sbagliavo.
Mi aveva mandato un messaggio privato mentre eravamo collegati a quel gioco dicendomi che stavo facendo un buon lavoro e aveva deciso di premiarmi. Immediatamente dopo era apparsa sulla scena la peggiore delle sue cagne, una bionda mozzafiato con due tette enormi e un culo che urla sfondami, l’avevo aiutata io a disegnarsi così per soddisfare i desideri del lurido verme, ma con una testa da vecchia rincoglionita o da bambina scema. Quel pervertito del cazzo le dice, in pubblico, che il suo servo è stato bravo e che merita un premio. Le ordina di farmi un pompino e ovviamente quella acconsente. Ecco il premio che mi son meritato, quello di essere il suo bravo cameriere anche lì. Già, sono un cameriere e lo sono sempre.
Servo.
Questo è il mio premio: sentirmi dire ancora una volta chi sono mentre due figure dalle sembianze umane ma dalle forme improbabili fanno cose zozze su uno schermo perché il porcello sudaticcio l’ha ordinato e gode a vedere la gente che fa quello che vuole lui. Quando l’ho sentito sghignazzare dalla sua camera sono corso in bagno e ho vomitato veramente.
Adesso sto, lentamente, distruggendo tutto quello che ho costruito lì in questi ultimi mesi. Gli ho fatto sparire il lettone, demolito un muro, ora gli distruggo il tappeto dove ci sono le animazioni per fare le orge e comincio ad ejectare dalla sua proprietà digitale le amichette con cui si sta divertendo, una ad una, e ho fatto in modo che non possano né rientrare né comunicare con lui. Il bastardo non capisce un cazzo di computer e all’inizio penserà ad uno dei soliti malfunzionamenti del sistema informatico, poi comincerà ad innervosirsi.
Tra poco lo sentirò bestemmiare e allora prenderò lo scortichino che ho portato in camera. L’ho preso in cucina questo pomeriggio e l’ho affilato con la pietra più fine che ho fino a farlo diventare tagliente come un bisturi e quando mi ordinerà di correre da lui andrò in camera sua e glielo pianterò in gola. Quando il porco avrà finito di buttar sangue tornerò qui a prendere il mio coltello, l’unico ricordo che mi rimane dei tempi in cui non ero ancora cameriere e che ho curato come fosse un figlio, sempre col filo perfetto e la lama oliata il giusto, me ne uscirò all’aria aperta e con questo mi taglierò la pancia; perché questa è l’unica maniera per distruggere veramente tutto.
Perché questo e il solo modo per distruggervi tutti.



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