..................................................................................................

_________________________________________________________________










lunedì, dicembre 20, 2010

Un viaggio





Sti strolig…”
Quando sentì queste parole, dette da una signora che sedeva sul sedile al suo fianco in una carrozza del metro, si svegliò e, ancora non del tutto lucido, quasi per un riflesso condizionato, rispose:
Sì, strolig in milanese vuol dire zingari. Deriva da astrologo, significa che sono quelli che conoscono il futuro…”.
La signora lo interruppe bruscamente:
Lo so, sono milanese. E se conoscono il futuro come mai chiedono l’elemosina con i bambini e rubano invece di vincere al superenalotto”?
Non ancora del tutto sveglio non trovò una battuta per replicare, guardò il bambino con un bicchiere in mano che chiedeva ai passeggeri qualche moneta e si accorse che doveva scendere alla prossima fermata. Con un sorriso tirato ringraziò la signora che si era spostata per farlo avvicinare alle porte e attese che si aprissero.
Una volta sceso dal vagone venne trascinato dall’onda di piena delle persone che si recavano al lavoro verso l’uscita della stazione, come succedeva ogni mattina. Riuscì a portarsi sul lato opposto ai binari del marciapiede e si sedette sulla prima panchina libera che trovò.
Al professore girava un po’ la testa, la notte prima non aveva quasi dormito. Per timore di uno svenimento, invece di seguire il fiume di gente, preferì fermarsi ed aspettare che la folla scesa dal suo stesso treno salisse le scale, come una cascata che scorre al contrario, e scomparisse lasciando quasi vuota la banchina fino all’arrivo del prossimo treno.
Aveva tirato fin quasi mattino, solo nella sua stanza, davanti al monitor di un computer.
Si era appassionato già da un po’ di tempo a Second Life e la sera prima era cominciata parlando, o meglio, scrivendo, con i suoi amici in una land che simulava una spiaggia tropicale, dove aveva incontrato un’avatarina che condivideva i suoi stessi gusti. Non ci mise molto a capire che entrambi non cercavano altro. Lei appariva remissiva, non faceva nulla per nasconderlo, e lui non ci mise molto a convincerla a passare il resto della serata in un club BDSM. Era interesse di entrambi, lui poteva dar sfogo alla sua voglia di dominio e lei a quella di essere dominata. Un felice incontro di opposti da cui sarebbe potuto nascere un legame anche più forte di quello che il solo gioco lascia credere.
Quando, guardando l’ora di Second Life, mentre il suo avatar passeggiava con in mano una frusta davanti ad una croce a cui era legata la sua recente conoscenza, realizzò che erano passate le cinque di mattina in Italia si affrettò a mettere fine al gioco, tra poche ore avrebbe dovuto tenere una lezione, salutò e ringraziò chi manovrava l’avatar femminile assieme al quale si era divertito al punto da perdere la concezione del tempo. Spense il computer e guardò la stanza piena di libri.
Era solo in quella stanza, in quella casa.
Si sedette sulla poltrona e, dopo aver puntato la sveglia, si assopì.
Di solito non li ricordava ma, forse perché non era riuscito ad addormentarsi completamente ed era rimasto, quelle poche ore, in uno stato di dormiveglia, rammentava ancora bene cosa aveva sognato seduto sulla poltrona del suo studio.
Si alzò dalla panchina sul marciapiede, ormai quasi deserto, e cominciò il percorso che lo avrebbe portato nell’aula dove teneva il suo corso, con il pensiero concentrato su quello che il suo inconscio gli aveva lasciato intravedere alla fine della notte appena finita.
Aveva visto l’aula, la stessa in cui sarebbe entrato tra poco, come appariva molti anni prima, quando era studente.
Piena di gente, molti fumavano, non solo sigarette. Aria irrespirabile per gli standard odierni. Sui muri scritte, per lo più fatte con una bomboletta spray di vernice rossa, qualche falce e martello. Gli studenti parlavano tra di loro, ridevano, qualcuno faceva un comizio. Gente che entrava e gente che usciva. Qualche coppia si stava scambiando effusioni e si baciava. Finiva un dialogo con una persona e subito se ne cominciava un altro con un’altra. Studenti seduti al banco, sul banco e per terra. Risate. Urla. Disordine. Gonne lunghe e colorate. Blue jeans e pantaloni di fustagno. Sciarpe lunghissime…
Tanta gente che stava insieme. Ricordava ancora alcune parole di quel sogno. Parlavano di libertà per le persone, di libertà per i popoli, di giustizia.
Al suono della sveglia si alzò dalla poltrona, ancora mezzo addormentato e con una parte di sé rimasta in quel sogno si diede una rapida lavata, una sistemata approssimativa agli abiti che indossava, e uscì di casa.
Avvolto dai suoi pensieri non si era accorto che si stava facendo tardi, affrettò il passo per non arrivare in ritardo.
Giunto all’entrata dell’università si accorse appena di una zingara con in braccio un bambino che gli disse qualche cosa. Era di fretta, non capì le parole, anche se era chiaro che stesse elemosinando. Rispose stringatamente, senza guardarla ed affrettando ancora di più il passo:
Scusi, sono di corsa”.
Giunse infine nell’aula. Come era diversa da quella del sogno! Eppure era la stessa. Lo attendevano gli studenti del suo corso, nessuno fumava, avevano facce addormentate e molti ascoltavano musica, o non sapeva che altro, con quegli aggeggi portatili, altri sfogliavano copie dei quotidiani gratuiti che venivano distribuiti un po’ ovunque.
Cominciò la lezione. Le solite cose che diceva da anni, cercando, per quanto gli fosse possibile visto la poca forza che gli aveva lasciato la notte precedente, di interessare gli studenti.
La lezione continuò fino al punto in cui il professore disse:
E’ proprio la costruzione degli steccati, dei recinti, attorno ai terreni prima adibiti a pascolo pubblico, uno dei più noti esempi che usiamo per spiegare il significato di proprietà privata. Privata, appunto, dal verbo privare, togliere, o anche, usando altri sinonimi, defraudare, rubare”.
Si fermò di colpo, qualche studente si mise a guardarlo sorpreso, quasi che l’improvvisa assenza di parole avesse interrotto l’effetto ninna nanna da lezione.
Il professore, dopo qualche secondo trascorso con lo sguardo fisso nel vuoto, riprese a parlare:
Ragazzi, seguitemi fuori. Forse impareremo che le parole sono idee o forse niente. Forse impareremo che le parole hanno diversi significati per chi le pronuncia e per chi le ascolta o forse niente. Forse sono solo parole, cortine fumogene per nascondere, o forse no. Non lo so. Venite con me”.
Un corteo con il professore in testa si diresse verso l’uscita dell’università.
Quella zingara con il bambino in braccio si era seduta al fianco dell’entrata, non l’avevano ancora cacciata. Appena la vide andò decisamente verso di lei, seguito a qualche passo di distanza dagli studenti.
Giunto davanti a lei mise le mani in tasca ed estrasse le poche monete che aveva e le posò sulla mano tesa della donna dicendo sorridente:
Buongiorno signora, le hanno rubato qualcosa, io le sto solo ridando il poco che ho ritrovato”.
Alcuni studenti lo guardarono perplessi, altri si scambiarono occhiate divertite, altri ancora continuarono ad ascoltare la musica dalle cuffiette che indossavano.
Il professore sorrise ancor di più quando la zingara, sia che avesse capito quello che aveva detto oppure no, lo guardò e, a lui ateo, disse:
Dio ti benedica”.


Potete trovare questo racconto, assieme ad altri interessanti articoli, sull'ultimo numero di EsseElle-Movie Magazine.

3 commenti:

Gio ha detto...

Sto leggendo Tonio Kruger, di Mann.
Oddio, basterebbe un giorno a leggerlo, ma sono stanco morto e mi sta prendendo più tempo.

Li si parla di zingari, 'nel carrozzone verde'.

Devo ancora capire in che termini.

Ciao!

Gio ha detto...

Te lo suggerisco, questo Tonio Kruger.

mod ha detto...

oh marco) quoto gio e poi....buon anno!

love, mod