Tra le cose di cui non avevo mai sentito parlare e che ho scoperto che esistono durante il mio sempre più raro girovagare nel web c'è questa:
Il kintsugi (金継ぎ), o kintsukuroi (金繕い), letteralmente "riparare con l'oro", è una pratica giapponese che consiste nell'utilizzo di oro o argento
liquido o lacca con polvere d'oro per la riparazione di oggetti in
ceramica (in genere vasellame), usando il prezioso metallo per saldare
assieme i frammenti. La tecnica permette di ottenere degli oggetti
preziosi sia dal punto di vista economico (per via della presenza di
metalli preziosi) sia da quello artistico: ogni ceramica riparata
presenta un diverso intreccio di linee dorate unico ed ovviamente
irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può
frantumarsi. La pratica nasce dall'idea che dall'imperfezione e da una
ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e
interiore.
(da wikipedia).
La prima cosa che mi è saltata in mente, quando ho scoperto questa pratica, è stato un discorso che ho ascoltato in second life, ormai qualche anno fa, in cui qualcuno sosteneva che quando si rompe una tazzina va buttata via e non incollata, perchè anche se è stata rimessa assieme è comunque una cosa rotta.
Io sono un riparatore, guardo alla funzione, non all'apparenza. Se una tazzina può funzionare ancora la incollo.
E' anche una questione brutalmente economica: mi è stato insegnato che non si butta via nulla e lo ritengo giusto, senza arrivare all'eccesso patologico di tenere tutto l'inutilizzabile, ché quello che non serve oggi potrebbe servire domani. Sono, come tutti, limitato dallo spazio a disposizione. Se avessi a disposizione uno spazio illimitato terrei tutto. Una scatola per i piatti rotti, una per le piastrelle scheggiate, un'altra per i pezzi di vetro e così via per ogni genere di oggetto.
Ma quando mi capita di incollare una tazzina, non capita di frequente, sto bene attento a nascondere il più possibile la linea di frattura.
In questa pratica giapponese è diverso, si esalta l'unicità della frattura mettendola in evidenza.
La seconda cosa a cui ho pensato è stata una frase che si dice venga dal codice dei samurai, il bushido - ma per quel che ne so potrebbe venire anche da un qualsiasi filmaccio di arti marziali - che dice che un guerriero si riconosce dalle sue ferite.
Mi piace l'idea che l'unicità di ognuno di noi sia data dalle proprie cicatrici e che sia bello mostrarle, perchè loro, le cicatrici, siamo noi.
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