Prima liceo scientifico, 14 anni, sfigatamente francese perché la sorte mi aveva negato, 3 anni prima, l’insegnamento della lingua del futuro; ovviamente l’inglese.
Succede che l’insegnante decide di adottare come libro di narrativa la pièce di Ionesco. Teatro dell’assurdo l’hanno chiamato. Succede anche che, per motivi a me rimasti ignoti, ci portano a teatro a vedere questo pezzo; non ricordo neanche se in originale o in italiano.
Una massa di ragazzini del biennio urlanti o annoiati.
Una massa di ragazzini il cui massimo era dire “oui, je suis Catherine Deneuve” intendendo “sì, sono ancora Caterina”.
Io che non riuscivo neanche a pronunciare i suoni francesi che sono condivisi con il milanese, usati normalmente nella mia famiglia. Pessimo lettore ad alta voce in francese. Sguardi pietosi della prof.
Nessun reale sforzo per insegnarmi ad utilizzare quello che già avevo. La lingua straniera una strana successione di lettere senza nessun suono.
La cantatrice calva, il teatro dell’incomunicabilità per insegnare a comunicare in una lingua straniera a dei ragazzini che, in quella lingua, avrebbero al massimo potuto dire quasi niente. C’è sempre qualcuno più genio degli altri.
Terza liceo scientifico, 16 anni, sfigatamente francese…
Succede che le insegnanti sono arrivate e se ne sono andate ed io non avevo migliorato un gran che.
In autunno la prima interrogazione con la nuova prof.
Dovevamo esporre e commentare un articolo di un giornale a scelta.
Gita a Milano per procurarsi il materiale. Io scelgo in edicola l’Humanité, non per arruffianarmi la prof, non conoscevo le sue idee politiche, ma solo perché mi aveva attirato la striscia rossa sotto la testata nera di quel giornale. Strano, rosso e nero, ed io sono interista.
Comincio a parlare. Continuo la mia esposizione in francese. Parlo ancora e ancora. Non doveva essere un articolo molto interessante perché il brusio della classe cresce col passar del tempo.
Forte manata sulla cattedra della prof che, a voce alta, dice:
“Silenzio, ché il vostro compagno parla veramente francese”.
-EH!?- Penso io –Questa è matta!-
Era stata una bella estate, per me, quella precedente. Cinque settimane a Latina, mio padre in quel periodo lavorava lì. Visita alla centrale nucleare, il reattore, i laboratori, quasi il paradiso per un appassionato della fisica, poi Roma, a piedi, come dovrebbe essere visitata ogni città quando questo è possibile, e Nancy.
Aveva 14 anni Nancy, veniva dalla Germania ma era Fiamminga. Per parlarci avevamo in comune il francese.
Non era calva, aveva i capelli biondi tagliati all’altezza del collo e li teneva pettinati all’indietro, gli occhi si confondevano tra il mare e il cielo. Non cantammo insieme, nemmeno pensammo di farlo. Era bello così.
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21 ore fa
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