Vediamo il medioevo con gli occhi dell’ottocento.
Quando, anni
dopo averlo visto dal vero, ho saputo che le travi del tetto del duomo
di Colonia sono in ferro, sul momento credetti che fosse una scelta
recente. Con tutti i bombardamenti che ci furono in Germania durante la
seconda guerra mondiale non mi risultava per niente strano che anche
quella chiesa potesse essere stata quasi rasa al suolo e successivamente
ricostruita con tecniche moderne.
Invece no.
Le travi sono
originali e risalgono al tempo della sua costruzione. Questo perché la
maggior parte di quell’edificio, comprese le altissime torri della
facciata in stile gotico missilistico, è un’edificazione dell’800.
La stessa Notre Dame ha contribuito a formare questo medioevo
immaginario che è quello che noi, tuttora, vediamo. I gargoyle, quei
doccioni mostruosi che fanno la felicità degli scenografi quando devono
mettere in scena quello spettacolo tratto dal romanzo di Hugo, anche
questo ottocentesco, sono un’aggiunta di un restauro del XIX secolo. Nel
medioevo non c’erano.
Gli strumenti di tortura e quei divertenti
oggetti che sono le cinture di castità, per la maggior parte, sono anche
loro frutto dell’immaginazione ottocentesca.
Certe immaginazioni
sono così ben fatte e potenti che si trasformano, nel tempo, in immagini
che lottano ad armi pari con quelle che sono reali (per quello che
riusciamo a sapere) e a volte vincono, sostituendo la realtà con la
fantasia.
Succede anche con le parole.
Alcune espressioni sono
tanto azzeccate da durare decine, centinaia d’anni e vengono spesso
usate, magari con significati diversi. Ma il loro utilizzo fa sì che
rimangano vive.
Pensate “alla discesa in campo” che ha travalicato
il significato originario militare-sportivo e viene utilizzata
nell’ambito della propaganda politica. Oppure il “fare squadra”, sempre
sportivo, che viene utilizzato in svariati campi.
Altre
espressioni, invece, hanno minor fortuna. Vivono quasi dimenticate nei
libri e saltuariamente escono a fare un giro, vengono strombazzate per
un breve periodo e poi ritornano a dormire sulle pagine da cui sono
uscite.
Un esempio potrebbe essere un’espressione come “scendere
nell’agone politico”. Sì è sentita per qualche anno ma adesso riposa
tranquillamente.
Anche perché, credo, al mercato e nelle fiere, dove
si scambiano merci e informazioni, il fine dicitore sostenitore del
primato della politica non è molto considerato. In quei posti la gente è
più attenta a controllare che il fruttivendolo non metta il dito sul
piatto della stadera e parole come “agone” richiamano alla mente solo
altre parole come “magone” e “iniezione”. Penso siate d’accordo con me
se vi dico che un’iniezione fatta con un agone fa venire il magone.
Meglio dimenticarsela in fretta quella brutta parola.
In quest’ultima campagna elettorale c’è stata un’unica parola che è stata usata più delle altre.
Questa parola è “argine”.
C’è chi si presenta come “argine” contro il menefreghismo, altri come
“argine” al benaltrismo, altri ancora volevano arginare tutti gli altri
“argini”.
Un’invasione di argini.
Ma siamo ancora in inverno, nevica, alle alluvioni ci penserò al disgelo.
Mi chiedo solo, dopo aver costruito tutta questa molteplicità di
argini, questi argini degli argini e argini sugli argini, l’acqua per
far girare i mulini dove l’andremo a pescare?
Buon voto!
P.S.
Per quanto sembri incredibile, invece, le mutande di ghisa sono
utilizzate da ben prima dell’età della pietra. Mi raccomando,
indossiamole sempre.